Ai fini della qualificazione in termini di autonomia o di subordinazione dell’ulteriore rapporto di lavoro tra il socio lavoratore e una società cooperativa occorre dare prevalenza alle concrete modalità di svolgimento del rapporto di lavoro.
Così si è pronunciata la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 30236 del 14.10.2022.
IL CASO
Una Società Cooperativa propone ricorso dinanzi al Tribunale allo scopo di sentire accertare l’inesistenza del credito vantato dall’INPS a titolo di finanziamento per il Fondo di solidarietà residuale.
Il Tribunale e, successivamente, anche la Corte d’Appello respingono il ricorso.
Infatti, in entrambi i casi, ravvisano la natura subordinata dei rapporti di lavoro dei soci, sulla scorta delle denunce a fini contributivi presentate dalla società.
La cooperativa ricorre in Cassazione. Afferma che, nel caso di specie, sussisterebbero gli estremi di «un contratto di lavoro mutualistico di natura atipica», non riconducibile alla subordinazione.
La cooperativa lamenta che non è stato dato alcun rilievo al contratto di lavoro sottoscritto dai soci.
Tale contratto espressamente esclude il vincolo di subordinazione e demanda alla libera organizzazione dei soci l’esecuzione della prestazione lavorativa.
LA DECISIONE DEI GIUDICI
Per accertare la subordinazione è d’importanza preminente l’indagine sull’effettivo atteggiarsi del rapporto.
La qualificazione convenzionale d’un rapporto di lavoro come autonomo non dispensa comunque il giudice dal compito di verificare quelle concrete modalità attuative del rapporto in esame
Il fatto che il rapporto di lavoro si affianchi al rapporto associativo, a sua volta contraddistinto dalla partecipazione al rischio d’impresa, non esclude che, all’interno dell’organizzazione societaria, si possa rinvenire, insieme al contratto di partecipazione alla comunità, quello commutativo di lavoro subordinato.
Pertanto la peculiarità del rapporto associativo non si pone di per sé in antitesi con gli estremi della subordinazione che devono essere riscontrati in concreto.
Infatti, i soci svolgevano prestazioni di pulizia e facchinaggio, percepivano una retribuzione oraria, non apportavano attrezzature e materiali propri, non compivano investimenti economici di sorta.
Essi «si limitavano a porre le proprie energie lavorative a disposizione della società, che se ne avvaleva nell’ambito della propria organizzazione aziendale e li ricompensava in proporzione alla durata delle prestazioni svolte»
Quando la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione il criterio rappresentato dall’assoggettamento del prestatore all’esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare non risulta significativo.
Quindi, occorre fare ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali:
- la continuità e la durata del rapporto;
- le modalità di erogazione del compenso;
- la regolamentazione dell’orario di lavoro;
- la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale (anche con riferimento al soggetto tenuto alla fornitura degli strumenti occorrenti);
- l’eventuale assunzione di un rischio d’impresa con un effettivo controllo sulla gestione aziendale;
- la sussistenza di un autentico potere di autorganizzazione in capo al prestatore.
Da tali elementi, valutati nella loro vicendevole interazione, la Cassazione ha respinto il ricorso della cooperativa.
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