Qualsiasi credito, compreso quello derivante dal rapporto di lavoro, nei confronti di una cooperativa sociale posta in liquidazione coatta amministrativa deve essere fatto valere in sede concorsuale. Così si è pronunciato il Tribunale di Tivoli, nella sentenza n. 69 del 01.03.2023.
IL CASO
Una lavoratrice di una cooperativa sociale collocata in liquidazione coatta amministrativa che aveva svolto la mansione di coordinatrice del servizio di assistenza domiciliare era stata licenziata per aver indetto, insieme ad altri soci lavoratori, una assemblea in “autoconvocazione”, in seno alla quale i soggetti intervenuti avrebbero illegittimamente eletto un nuovo C.d.A. e da quel momento agito (abusivamente) in nome e per conto della cooperativa nei rapporti con gli altri soci lavoratori e con terzi, cagionando gravissimi danni alla cooperativa medesima.
La lavoratrice aveva tempestivamente impugnato il licenziamento in via stragiudiziale con conseguente richiesta di condanna della società resistente a reintegrarla nel posto di lavoro ed a corrisponderle le retribuzioni maturate dalla data del licenziamento sino a quella di effettiva reintegra, ovvero – in via subordinata – a versarle un’indennità risarcitoria.
LA DECISIONE DEL TRIBUNALE: LA LEGITTIMITA’ DEL LICENZIAMENTO
Il Tribunale ha rigettato la richiesta della lavoratrice sulla base di due considerazioni. La prima in merito alla legittimità del licenziamento.
Le condotte descritte “presentano elementi di disvalore che interessano sia il piano societario/associativo sia il rapporto lavorativo, peraltro profili strettamente collegati nell’ambito delle cooperative sociali. Infatti, il perseguimento dello scopo mutualistico di tali compagini si realizza affiancando al patto associativo il rapporto di lavoro. In questi termini, la prestazione di lavoro resa dal socio è finalizzata al perseguimento dello scopo comune.
Dunque, l’ingresso in cooperativa fa sorgere il rapporto sociale che è integrato da una prestazione di lavoro, strumentale rispetto al primo e destinata a realizzare gli obiettivi mutualistici.
Ebbene, la condotta di un socio lavoratore che convochi illegittimamente un’assemblea sociale all’esito della quale venga rimosso il consiglio di amministrazione
nominandone uno nuovo che inizi ad agire in nome e per conto della cooperativa adottando delle iniziative volte ad escludere altri soci e che determinino danni sia alla società sia ad altri dipendenti non ha una rilevanza confinata esclusivamente al piano del rapporto associativo.
Essa si ripercuote sicuramente, in termini negativi, anche sul rapporto di lavoro. Infatti, tali condotte costituiscono una grave violazione degli obblighi di fedeltà che ogni lavoratore è tenuto a rispettare.
LA RICHIESTA DI RISARCIMENTO VERSO UNA COOPERATIVA IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA
La seconda considerazione attiene alla domanda di condanna della cooperativa al pagamento delle differenze retributive maturate in ragione dell’invocato diritto ad un inquadramento superiore (oltre che per l’asserita omessa corresponsione delle ultime due mensilità di retribuzione e delle competenze di
fine rapporto).
Secondo il Tribunale la domanda deve essere dichiarata improcedibile.
La Cooperativa convenuta è stata collocata in liquidazione coatta amministrativa, procedura che determina, per un verso, la perdita della capacità (anche) processuale degli organi societari e, per altro verso, la temporanea improcedibilità – fino alla conclusione della fase amministrativa di accertamento dello stato passivo davanti agli organi della procedura ai sensi degli art. 201 e ss. L.F. – della domanda azionata in sede di cognizione ordinaria.
Al riguardo, la Cassazione ha costantemente affermato come qualsiasi credito nei confronti di un’impresa posta in liquidazione coatta amministrativa debba essere fatto valere in sede concorsuale nell’ambito del procedimento di verifica affidato al commissario liquidatore ai sensi dell’art. 209 L.F., potendone il giudice conoscerne solo in sede di opposizione od impugnazione ex art. 98 e 99 L.F. dello stato passivo.
Sicché risulta improponibile o, se proposta, diventa improcedibile, stante l’inderogabilità delle norme poste a tutela della par condicio creditorum, qualsiasi domanda di cognizione ordinaria che venga formulata in una diversa sede, diretta ad ottenere una condanna pecuniaria. (cfr. ex plurimis, Corte di Cassazione, Sez. III civ., 20 marzo 2017 n. 7037).
In definitiva, le uniche azioni che possono essere proposte o proseguite davanti al giudice del lavoro nei confronti di un’impresa in LCA sono quelle dirette ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento, per le quali la possibilità di insinuazione allo stato passivo dei relativi crediti risarcitori è che ne siano stati determinati l’an e il quantum (cfr. Cass. 19 giugno 2017, n. 15066).
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