Risulta colpevole del reato di bancarotta fraudolenta documentale l’amministratore di una cooperativa in liquidazione coatta amministrativa che ha presentato le dimissioni dalla carica ma non ha consegnato le scritture contabili al commissario liquidatore.
Così la Corte di Cassazione si è pronunciata con la sentenza n. 37012 del 08.09.2023.
IL FATTO
Il Tribunale con sentenza, confermata in appello, ha condannato il Presidente di una cooperativa per il reato di bancarotta fraudolenta documentale in quanto non aveva consegnato le scritture contabili al commissario liquidatore.
L’imputato ha presentato ricorso affermando che le dimissioni presentate alla cooperativa erano da considerarsi efficaci e lo sollevavano, quindi, dal coinvolgimento nella gestione documentale della società.
Infatti, il ricorrente, proprio per lo stato di difficoltà economica e dissesto della cooperativa subito dopo la nomina, difficoltà che gli impedivano qualsiasi operatività di gestione, aveva deciso di lasciare l’incarico dopo appena due mesi dall’investitura.
Inoltre, il passivo si era accumulato in epoca ben più risalente rispetto alla sua nomina.
LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE
Il ricorso è rigettato dai Giudici della Suprema Corte sulla base delle seguenti motivazioni:
- le dimissioni rassegnate non sono state in realtà formalizzate con valore esterno, ma sono state prese in considerazione solo con valenza interna all’ente, visto che la delibera assembleare di accettazione delle dimissioni non è stata pubblicizzata in alcun modo;
- la cessazione dall’incarico di amministratore di una società, per qualsiasi ragione, determina l’operatività dell’istituto della “prorogatio imperii”, previsto dall’art. 2385 cod. civ.;
- detta cessazione ha effetto (se resta in carica la maggioranza del consiglio di amministrazione) soltanto in forza della sua avvenuta sostituzione con altro amministratore.
Il ricorrente è responsabile per il reato ascrittogli, su di un piano oggettivo.
Quindi, l’obbligo di tenere le scritture contabili viene meno solo quando la cessazione dell’attività commerciale sia formalizzata con la cancellazione dal registro delle imprese.
Il delitto sussiste quando:
- la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari del fallito è impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute;
- difficoltà superabili solo con particolare diligenza ostacolano gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari.
Inoltre, la qualità di legale rappresentante della società era, quindi, esercitata con consapevolezza dall’imputato, anche dopo le sue dimissioni.
Infatti, il commissario liquidatore aveva chiesto proprio a lui la consegna delle scritture contabili all’esito della diffida ad adempiere, viste le “continue scuse” addotte dal ricorrente per il ritardo nella consegna.
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