La recente sentenza della Corte di Cassazione (Sez. 5, Sent. n. 9800/2025) ha affrontato il caso dell’amministratore di una cooperativa dichiarata insolvente e la sua responsabilità come “testa di legno”.
Condannato per bancarotta fraudolenta documentale ai sensi degli artt. 216, comma 1, n. 2, 223 e 237 della Legge Fallimentare, il ricorrente ha impugnato la decisione della Corte d’Appello, contestando vari aspetti della pronuncia. Uno degli elementi centrali del dibattito processuale ha riguardato la figura dell’amministratore “testa di legno” e la sua responsabilità penale.
La Figura della “Testa di Legno” e la Responsabilità Penale
Nella sua difesa, l’imputato ha sostenuto che la sua carica di amministratore fosse solo formale, senza alcun coinvolgimento diretto nella gestione della cooperativa. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio giurisprudenziale consolidato: assumere formalmente la carica di amministratore non esonera automaticamente dalla responsabilità per reati di bancarotta fraudolenta.
Secondo l’orientamento giurisprudenziale (Sez. 5, n. 43977/2017), l’amministratore legale è direttamente destinatario dell’obbligo di corretta tenuta e conservazione delle scritture contabili. La sua responsabilità permane anche se delega ad altri la gestione operativa della società. Ne consegue che, se l’amministratore “testa di legno” si disinteressa completamente della contabilità e della gestione aziendale, accettando consapevolmente il rischio di irregolarità o manipolazioni, può essere ritenuto penalmente responsabile per bancarotta fraudolenta documentale.
Il Dolo nell’Operato dell’Amministratore Formale
La Corte ha sottolineato che l’elemento psicologico richiesto per la bancarotta fraudolenta documentale generica non si limita alla mera irregolarità contabile, ma richiede la consapevole adesione al rischio che la documentazione societaria venga alterata o occultata. In questo caso specifico, è stato accertato che l’amministratore, sin dall’inizio del suo mandato, ha accettato la carica solo formalmente, senza mai esercitare alcun controllo sulla gestione della cooperativa, la cui amministrazione di fatto era in mano ad altri soggetti.
Questa condotta configura un atteggiamento di volontaria abdicazione ai propri doveri, con la consapevolezza che la contabilità potesse essere gestita in modo fraudolento. La Corte ha evidenziato come l’accettazione formale della carica, dietro compenso, costituisca un forte indizio della volontaria partecipazione all’illecito, trasformandosi in prova diretta del dolo generico richiesto dalla fattispecie incriminatrice.
Inoltre, la condotta dell’imputato non poteva essere ricondotta a una mera negligenza o imperizia. Al contrario, essa evidenziava una precisa volontà di omettere la tenuta regolare della contabilità, impedendo così la ricostruzione del patrimonio della cooperativa.
Conclusioni
Il caso rappresenta un ulteriore esempio dell’attenzione che la giurisprudenza esercita sulla condotte delle cosiddette “teste di legno”. L’amministratore di una cooperativa che accetta un incarico senza svolgere alcuna funzione effettiva non può sottrarsi alle proprie responsabilità penali. L’assunzione di una carica societaria non è un mero atto formale: essa comporta doveri di vigilanza e controllo, il cui mancato rispetto può sfociare in responsabilità per gravi reati fallimentari.
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